automotive22 Aprile 2024 16:19

Termovalorizzatore Roma, dal 2028 cittadini dovranno pagare 16.200 euro di multe al giorno a Ue. Ma Gualtieri ferma le auto

Due pesi e due misure a Roma? Le auto no ma il termovalorizzatore si. Questo sebbene dai dossier INEMAR (INventario EMissioni ARia) realizzato da Arpa Lombardia, risulti che le automobili inquinino per il 22,5 per cento di cui il 15,5% dipende dai pneumatici e nonostante l'Unione europea sia chiara sui termovalorizzatori nel dossier Final report taxonomy annexes: non rispettano il principio del "Do no significant harm", - in italiano "Non arrecare danno" -, su cui si fonda a livello teorico la strategia europea in vista della transizione ecologica e dell'impatto zero continentale entro il 2050. Come previsto anche dal pacchetto europeo Fit for 55.

https://www.europarl.europa.eu/legislative-train/package-fit-for-55/file-revision-of-the-eu-emission-trading-system-(ets)

200309-sustainable-finance-teg-final-report-taxonomy-annexes_en

Fit for 55: reform of the EU emissions trading systemconsilium.europa.eu

https://www.europarl.europa.eu/doceo/document/TA-9-2022-0246_EN.pdf

Motivo per cui dal 2028 - nella migliore delle ipotesi - i cittadini europei di uno Stato membro dovranno pagare almeno 60 euro a tonnellata do CO2 - il valore medio attuale delle quote - smaltita da un termovalorizzatore situato nel territorio in quanto inquinante.

L'alibi europeo sventolato per i veicoli inquinanti che mette i cittadini nella condizione obbligata di comprare auto nuove favorendo le industrie automobilistiche (la Stellantis è per metà in mano al PSA Groupe francese e per metà alla Exor olandese) sembra non valere per la costruzione del termovalorizzatore.

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Nel 2028 scadranno infatti i cosiddetti "sussidi Ets", per cui impianti che emettono gas climalteranti come inceneritori e termovalorizzatori dovranno pagare diritti di emissione da cui attualmente sono esclusi. A costi che si attestano al momento sugli 60 euro a tonnellata.

Quindi, a conti fatti, per un termovalorizzatore romano che 'brucia' 270 tonnellate al giorno, il costo economico che ricadrà sulle spalle dei cittadini sarà di circa (60 euro x 270 T.) 16.200 euro al giorno da pagare all'Unione europea. 

Ma ad essere al centro del mirino del Comune di Roma, da condannare come responsabili assolute dell’inquinamento, quindi da limitare ad ogni costo (dei cittadini), facendosi forza dei principi dettati dalla Commissione europea, sono le auto.

Il cortocircuito rischia di bruciare la Capitale, o quanto meno i suoi abitanti, che il comune vorrebbe protagonisti come “doppi pagatori”: da un lato sarebbero costretti ad abbandonare le automobili più vecchie per acquistare quelle elettriche – che nel loro intero ciclo vitale inquinano più di quelle termiche – e dall’altra sobbarcarsi, attraverso le tasse pagate all’ente locale, la costruzione di un impianto di termovalorizzazione dei rifiuti che nascerebbe già vecchio.

Dunque le automobili sono da demonizzare, responsabili – secondo le scelte del Campidoglio – della stragrande maggioranza delle emissioni nocive nella città, nonostante diversi studi confermino il ruolo determinante di altri fattori, come riscaldamento, industria e fenomeni naturali. Si punta il dito sulle PM 2,5 le polveri sottilissime che i catalizzatori non riuscirebbero ad eliminare. La soluzione? Dal prossimo 1° novembre all’interno della fascia verde di Roma non potranno più circolare i veicoli diesel Euro 4 e benzina euro 3, ma questo sarà solo il primo passo, visto che dal 2025 potrebbe essere introdotta una Congestion Charge per cui le auto meno recenti pagheranno per entrare nell’area della Capitale.

Tutto questo senza prevedere, progettualmente, un potenziamento dei mezzi pubblici per venire incontro agli abitanti che non possono permettersi l’acquisto di un mezzo nuovo.

Ma non solo. Il Comune di Roma si è anche scagliato contro le vetture storiche, mettendosi di traverso anche rispetto a sentenze e legge regionali gerarchicamente superiori. Lo scorso 27 marzo infatti il Campidoglio ottemperava parzialmente alla sentenza n. 15408/2023 del Tar, pubblicata il 18/10/2023 e notificata in data 23 novembre 2023: “le limitazioni alla circolazione di cui al presente articolo non si applicano ai veicoli di interesse storico e collezionistico di cui all’art. 60 del D.lgs. n. 285/1992 e ss.mm.ii. (Nuovo codice della strada)”.

Di fatto l’ordinanza del 27 marzo autorizzava la circolazione delle auto storiche, ma solo per quelle iscritte nei registri storici in data antecedente al 1° novembre 2023, decidendo, incomprensibilmente, che quelle registrate successivamente, pur possedendo tutti i requisiti, non sarebbero equiparabili. Questa ordinanza, che limita fortemente la libertà, è stata però subito sconfessata dalla giunta della Regione Lazio, che il giorno dopo, in data 28 marzo, imponeva l’applicazione della sentenza.

Roma ha presentato ricorso, continuando lungo il solco della lotta ad ogni costo contro le automobili, facendosi forza sulle direttive europee e sulle condanne subite dall’Italia dalla Corte Europea che, ad esempio, il 12 maggio 2022 sottolineava in una sentenza come l’Italia “è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza del combinato disposto dell’articolo 13, paragrafo 1, e dell’allegato XI della direttiva 2008/50/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 21 maggio 2008, relativa alla qualità dell’aria ambiente e per un’aria più pulita in Europa, e, non avendo adottato, a partire dall’11 giugno 2010, misure appropriate per garantire il rispetto del valore limite annuale fissato per il NO2 in tutte le suddette zone e, in particolare, non avendo provveduto affinché i piani per la qualità dell’aria prevedessero misure appropriate affinché il periodo di superamento di detto valore limite fosse il più breve possibile, è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti”.

Tale solerzia verso l’Unione Europea non viene però rispecchiata sulla questione termovalorizzatore, uno dei pilastri della Giunta Gualteri. In questo caso sembra si ragioni ignorando le linee guida dell’Unione.

Nello specifico, la Commissione, nel 2017, in una comunicazione al Parlamento europeo (26 gennaio 2017 (COM2017 34 final), sottolineava come “I processi di termovalorizzazione possono svolgere un ruolo nella transizione a un’economia circolare a condizione che la gerarchia dei rifiuti dell’UE funga da principio guida e che le scelte fatte non ostacolino il raggiungimento di livelli più elevati di prevenzione, riutilizzo e riciclaggio”. Quindi 7 anni fa questo tipo di impianti dovevano solo agevolare una transizione più ecologica, tanto che - si legge - i “finanziamenti dell’UE e altri aiuti finanziari pubblici sono destinati alle opzioni per il trattamento dei rifiuti che sono conformi alla gerarchia dei rifiuti, e che sia data la priorità alla prevenzione, al riutilizzo, alla raccolta differenziata e al riciclaggio dei rifiuti”.

Il fondamento europeo della gerarchia dei rifiuti si basa sulla direttiva n. 98 del 19 novembre 2008 (2008/98/CE), che elenca, in ordine di priorità: “prevenzione; preparazione per il riutilizzo; riciclaggio; recupero di altro tipo, per esempio il recupero di energia; e smaltimento”. Quindi l’utilizzo dei rifiuti per produrre energia è oggi al penultimo posto della gestione.

Questo principio viene poi rafforzato dalla direttiva n. 851 del 30 maggio 2018 (direttiva UE 2018/851) che, introduce i principi della sostenibilità e sottolinea i rifiuti come risorsa da valorizzare, aggiungendo la nuova definizione di recupero di materia, quindi qualsiasi operazione di recupero diversa dal recupero di energia e dal ritrattamento per ottenere materiali da utilizzare quali combustibili o altri mezzi per produrre energia.

Questa direttiva, risalente a 6 anni fa, sembra essere completamente disattesa dalla Giunta Gualtieri, che invece punta sul mega impianto di termovalorizzazione, difficile comunque da costruire anche per la resistenza dei territori che potrebbero potenzialmente ospitarlo. C’è poi la beffa dell’impianto sperimentale di cattura di CO2 che dovrebbe affiancare il termovalorizzatore, dal costo di 150 milioni aggiuntivi ma in grado, come scrive il Fatto Quotidiano, di catturare solo lo 0,1% di quella prodotta in totale.

Eppure alternative al termovalizzatore ci sono e non sono solo legate ad azioni virtuose di recupero: l’Italia è tecnologicamente all’avanguardia – tanto che anche dalla Corea del Sud vengono nel nostro paese per acquisire i nostri sistemi - su piccoli impianti, capaci di non emettere fumi o diossina, dal basso costo costruttivo, facili da dislocare in diverse aree e quindi capaci anche di cancellare il problema del trasporto dei rifiuti e della discriminazione sociale e sanitaria di una comunità. In questo caso quella di Santa Palomba.

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