automotive4 Aprile 2024 13:24

Auto, italiani costretti a cambiarla con scusa green. A guadagnarci francesi e olandesi che licenziano, delocalizzano e chiedono incentivi

Da una parte si obbligano gli italiani a cambiare vettura, indirizzandoli verso le nuove auto elettriche (che dati alla mano inquinano - senza contare lo smaltimento batteria - più o meno come quelle tradizionali dato che su 22% circa di inquinamento attribuito alla circolazione delle automobili, il 15% è dovuto agli pneumatici), dall'altra Stellantis che detiene ormai i marchi italiani e la gran parte del mercato, chiede incentivi all'Italia e poi delocalizza e licenzia.

In sostanza gli italiani sono chiamati a pagare di tasca loro la francese Stellantis che nel frattempo licenzia in Italia e delocalizza all'estero gli stabilimenti.

Win win per l'azienda a guida franco-olandese ma lose lose per gli italiani. Nonostante il presidente sia John Elkann, il maggior azionista è Exor N.V. (già Exor Spa), holding finanziaria olandese controllata dalla famiglia italiana Agnelli.

L'Amministratore delegato nonché Amministratore Esecutivo di Stellantis è invece Carlos Tavares già presidente del Consiglio di Gestione di Groupe PSA e già Chief Operating Officer di Renault dove ha iniziato la carriera nel 1981.

Sotto la sua guida - si legge sulla breve biografia sul sito di Stellantis - il Gruppo "si propone di fornire una mobilità pulita, sicura e accessibile, puntando a divenire una mobility tech company grazie alla rapida ed efficiente implementazione di Dare Forward 2030. Questo audace piano strategico delinea inoltre il percorso che consentirà a Stellantis di essere la prima azienda del settore ad azzerare le emissioni di carbonio entro il 2038". Tavares ricopre attualmente anche la carica di co-presidente dell’Advisory Board del Freedom of Mobility Forum, con l’obiettivo di promuovere un approccio olistico e concreto per continuare a garantire la libertà di movimento nel contesto del cambiamento climatico.

Ma Stellantis sembra giocare su due tavoli, rassicura le istituzioni ma delocalizza fuori dall’Italia cancellando la sua storia industriale.

“Ciò che va bene per la Fiat va bene per l’Italia”. Questa frase storica, detta da Gianni Agnelli e poi da lui stesso rivista e parzialmente smentita qualche anno dopo (“ciò che è male per Torino è male per l’Italia”) fu pronunciata negli anni d’oro dell’automobile italiana, quella a cavallo del Boom economico, quando i marchi Made in Italy appassionavano e vendevano in tutto il mondo, simboli di bellezza e fascino tali da far “togliere il cappello” ad Henry Ford ad ogni passaggio di un’Alfa Romeo.

Il periodo d’oro è finito da un pezzo, passato attraverso l’imbuto della crisi economica degli anni ’70, le lotte sindacali, la crisi petrolifera e le acquisizioni – nel 1969 Lancia e Ferrari, nel 1986 l’Alfa Romeo - di quasi tutta l’industria italiana del settore nelle mani della Fiat, oggi Stellantis. Quello che va bene per la Fiat va bene per l’Italia era valido perché la grande azienda torinese garantiva alti livelli occupazionali, sfruttando anche generose iniezioni da parte dei governi italiani tramite gli investimenti per il Mezzogiorno.

A partire dal 1968 furono aperti diversi stabilimenti a Pomigliano d’Arco, Termoli Imerese (chiuso nel 2011), Termoli, Cassino, Melfi, Pratola Serra e Atessa. Dagli anni 2000 in poi, per quella che era diventata FCA, grazie alla fusione con Chrysler, si è assistito ad una progressiva dismissione, che ha colpito sia il sud che il nord Italia, una scelta di politica industriale decisa al tempo da Sergio Marchionne che ha visto aprire nuovi siti produttivi in Serbia, Cina, India e Brasile.

Il processo di delocalizzazione all’estero è accelerato negli ultimi anni, ancora di più dopo la trasformazione del gruppo in Stellantis a seguito della fusione con PSA (Gruppo Citroen-Peugeot), tanto da alzare la soglia di allarme sui livelli occupazionali e produttivi del paese. Negli ultimi giorni al Mimit del ministro Urso sono stati organizzati diversi incontri per esaminare i singoli stabilimenti produttivi italiani insieme ai rappresentanti del gruppo, delle regioni, di Anfia (l’Associazione nazionale Filiera italiana Automotive) e dei sindacati. Tra ieri e l’altro ieri il vertice ha riguardato il futuro di Mirafiori e quello di Melfi. Oggi è previsto quello su Atessa, Abruzzo e ieri il ministro ha dichiarato che “dall'incontro di oggi è emersa una posizione condivisa del sistema Piemonte e del sistema Italia sulla necessità di rilanciare lo stabilimento di Mirafiori per arrivare a produrre almeno 200 mila vetture. In questo modo si renderebbe realistico l'obiettivo, più volte confermato dall'azienda, di un milione di veicoli realizzati da Stellantis sul territorio nazionale". Il ministro ha chiesto poi chiarezza su "come e in quanto tempo l'azienda pensi di raggiungere questo intento e soprattutto che impatto avrà sull’indotto e sull'occupazione".

Urso ha infine spiegato che "con le altre istituzioni ha condiviso la richiesta che venga prodotto nel sito di Mirafiori almeno un altro modello che risponda alle esigenze del mercato italiano", sottolineando come "al momento a Torino si producano modelli come la 500 elettrica o a marchio Maserati, che sono rivolti per la gran parte all'estero".

Stellantis, il 10 luglio 2023, per bocca del CEO Carlos Tavares, aveva promesso proprio al Mimit di poter garantire la produzione di un milione di vetture in Italia, ma la visita “ufficiale” dello scorso febbraio a Roma da parte di John Elkann, presidente del gruppo, ha rimescolato le carte. Elkann ha incontrato il ministro dell'economia Giancarlo Giorgetti, il capo dello Stato Sergio Mattarella, l'ambasciatore Usa in Italia Jack Markell, il comandante generale dell'Arma dei Carabinieri Teo Luzi e il Governatore di Bankitalia Fabio Panetta, ma ha strategicamente scelto una data in cui non fosse presente Giorgia Meloni, impegnata in visita ufficiale in Giappone, ribadendo gli impegni industriali dell’azienda nel nostro paese. Allo stesso tempo Stellantis sta però “giocando” su più tavoli, proseguendo il piano di delocalizzazione: a fine febbraio è stato annunciato la dislocazione nel Regno Unito della produzione dei furgoni elettrici di medie dimensioni del marchio Vauxhall, meglio noto in Italia come Opel. La produzione sarà avviata il prossimo anno, presso lo stabilimento di Luton, poco distante da Londra. In una prima fase la produzione sarà, sottolinea Vauxhall, “limitata” ad alcuni veicoli destinati al mercato interno britannico, con un investimento di 10 miliardi, ma si punterà in un secondo momento, dopo “colloqui con il governo britannico” fanno sapere da Stellantis, ad affidare l’intera produzione destinata al mercato europeo. Una scelta, sicuramente, strategica per il gruppo, dato che la produzione di Vauxhall, oltre ad essere la più grande d’Europa dal punto di vista dei furgoni elettrici, serve per quasi il 50% proprio il mercato inglese.

Tutto questo sta influendo sul mercato auto in Italia, che è comunque tornato in positivo nel 2023. Secondo i dati Anfia, la produzione domestica delle sole autovetture nell’intero 2023 ammonta a 541mila unita, crescendo del 14,5% rispetto allo stesso periodo del 2022, mentre il mercato dell’auto globale chiude la precedente annata a +19,0% con 1.566.448 auto nuove immatricolate, una crescita consistente con circa 250.000 unità in più rispetto al 1.316.773 del 2022 e indietro di oltre 350.000 vetture (-18,3%) rispetto al 2019. A marzo è arrivato il primo calo, secondo i dati del ministero dei Trasporti, con le immatricolazioni che sono state 162.083, il 3,7% in meno rispetto allo stesso mese del 2023, una diminuzione dovuta all’attesa dei nuovi incentivi per i veicoli meno inquinanti, annunciati in partenza a breve.

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