Sostenibilità18 Luglio 2022 14:40

Agrocarburanti: la minaccia alimentare ravviva il dibattito

Un elemento fortemente contestato è il modello produttivo alla base delle produzioni di biocarburanti ovvero un modello fortemente intensivo e con un impatto ambientalmente pesante.

Votati poche settimane fa dal Parlamento Europeo gli ultimi pacchetti della cosiddetta “Fit for 55”, le polemiche intorno ad alcune misure di transizione non si sono spente. Ad accenderle, rimanendo nella metafora, non sarà come noto il carburante fossile che come previsto deve essere ridotto, ma gli stessi biocarburanti che sono tra i candidati a sostituirlo. 38 scienziati hanno scritto una lettera aperta agli eurodeputati di tutti i gruppi chiedendo di rivedere gli obiettivi del “Fit for 55” in materia di bioenergia. Si sostiene che l’incremento di produzione di biocarburanti ha come effetto deforestazione, diminuzione dei terreni agricoli per alimenti e perdita di biodiversità.

“Tutte le superfici che saranno utilizzati per produrre materia prima da bioetanolo mancheranno per la produzione di alimenti e per la biodiversità” ha dichiarato Wolfgang Cramet del Mediterranean Institute for marine and terrestrial biodiversity and ecology di Marsiglia. “I biocarburanti sono considerati neutrali dal punto di vista del carbonio, ma è un dato scientificamente falso”.

La filiera di produzione ha mostrato i dati per chiarire i vantaggi di tale cambio: il biodiesel ottenuto da olio di colza emette il 60% in meno di carbonio dei combustibili fossili, il bioetanolo il 70%. Cifre incomplete secondo gli scienziati a causa della non considerazione del cambio produttivo dei terreni. Torna in campo uno studio realizzato dalla Commissione Europea nel 2015 le cui conclusioni erano che mettendo a bilancio il cambio e la coltivazione delle materie prime per biodiesel, l’emissione di CO2 era superiore rispetto ai carburanti fossili. Ma è la questione alimentare dopo l’avvio del conflitto russo-ucraino che ha rimesso al centro della discussione la questione sui biocarburanti.

Se si riducesse della metà la produzione di biocarburanti in USA ed Europa si compenserebbero le importazioni di cereali e di oleoproteaginose” ha dichiarato Timothy Searchinger ricercatore di Princeton, specialista di biocarburanti. Searchinger stima in una riduzione di terreni agricoli destinati alla produzione alimentare di circa un 7-10%, una percentuale alta per un continente senza autonomia alimentare. Eric Andrieu relatore della riforma della PAC ha proposto di sospendere, nel frangente temporale, del conflitto russo-ucraino la produzione di materia prima da biocarburante, anche se ha precisato che si tratterebbe di una misura temporanea perché i biocarburanti sono un sostituto dei carburanti fossili indispensabili.

È dalla Germania che arrivano le prese di posizione più dure. Steffi Lemke ministra ecologista dell’ambiente sostiene la produzione alimentare che non può venire meno rispetto alla produzione di biocarburanti. Steffi Lemke, sostenuta dal ministro dell’agricoltura Cem Ozdemir, anch’egli ambientalista, ha proposto la riduzione di un terzo dei terreni destinati alla produzione di materia prima per biocarburanti. I protagonisti della filiera dei biocarburanti si difendono: il gruppo Avril in Francia precisa di aver abbandonato la produzione di biocarburante da girasoli ed aver incentrato esclusivamente sull’olio di colza anche se già nel 2021 il gruppo stesso era costretto ad importare il 47% di colza soprattutto da Australia e Canada.

Un elemento fortemente contestato è il modello produttivo alla base delle produzioni di biocarburanti ovvero un modello fortemente intensivo e con un impatto ambientalmente pesante. La coltivazione della colza ricorre a fitofarmaci in grandi quantità e tra questi i famigerati neonicoteinoidi che causano la morte delle api. Quello che merge è dunque che i cosiddetti biocarburanti di prima generazione, quelli appunto derivanti da produzioni agricole, sono da mettere progressivamente al bando a favore di quelle che vengono definite di seconda generazione proveniente da scarti, anche post-consumo, alimentari, agricoli, forestali come gli oli utilizzati nella trasformazione dell’industria agroalimentare oppure di terza generazione come i carburanti ricavati dalla coltivazione e dal processamento di alghe e/o microalghe. Se la terza generazione appare agli albori, la seconda è in una fase avanzata, tuttavia i costi della materia prima è ancora alta. La Cina che ha un buon mercato in Europa, rivende gli oli di palma che utilizza nelle proprie lavorazioni alimentari a prezzi molto elevati.

(Articolo scritto da Massimo Fiorio)