Politica11 Ottobre 2022 12:57

Il governo mette nero su bianco i rischi dello stop del gas russo nel Dpb: Aumenti del 20% dei prezzi del gas. Rischi per il Pil se Mosca chiude i rubinetti da ottobre

Il Consiglio dei Ministri tenutosi il 10 ottobre 2022 ha approvato il “Documento programmatico di bilancio per il 2023”, che illustra le principali linee di intervento a legislazione vigente e gli effetti sugli indicatori macroeconomici e di finanza pubblica per il prossimo anno. Il Documento Programmatico di Bilancio per il 2023 (Draft Budgetary Plan) è stato trasmesso alla Commissione Ue il 10 ottobre 2022.

Grazie al buon andamento del primo semestre, la previsione di crescita del PIL per il 2022 sale al 3,3 per cento, dal 3,1 per cento del Documento di Economia e Finanza (DEF), sebbene la seconda metà dell’anno si prospetti meno favorevole di quanto anticipato ad aprile. Infatti, nel quadro di un indebolimento degli indicatori ciclici globali ed europei, gli andamenti dell’economia e dell’inflazione continuano a risentire della guerra in Ucraina e dell’impennata del prezzo del gas naturale, dell’energia elettrica, dei combustibili e delle materie prime alimentari, in particolare i cereali”, si legge nel Dpb.

Gli interventi di calmierazione di bollette e carburanti e gli aiuti a famiglie e imprese attuati quest’anno dal Governo “assommano a 57,1 miliardi (3,0 per cento del PIL) in termini lordi, includendo 3,8 miliardi già stanziati dalla legge di bilancio per il 2022”. Ciononostante, la bolletta energetica per imprese e famiglie italiane “ha continuato ad aumentare a causa di prezzi all’ingrosso dell’energia che ad agosto hanno raggiunto un picco di 12 volte superiore alla media del quinquennio 2016-2020 nel caso del gas naturale e di quasi 11 volte in quello dell’energia elettrica, uno shock di prezzo senza precedenti. Anche il prezzo del petrolio ha seguito una tendenza ascendente fino a giugno, con un massimo di 128 dollari al barile sul benchmark Brent ai primi di marzo, ma è recentemente ridisceso sotto a 90 dollari al barile”.

“Sotto la spinta dei prezzi energetici e alimentari l’inflazione ha continuato a salire, raggiungendo il 9,5 per cento a settembre in Italia e il 10,0 per cento nell’area euro, secondo l’indice armonizzato dei prezzi al consumo - si legge nel Dpb -. L’aumento dei prezzi si è via via diffuso dall’energia e dai prodotti alimentari alle altre componenti dell’indice, portando l’inflazione di fondo (al netto dell’energia e degli alimentari freschi) al 6,1 per cento ad agosto nell’area euro e al 5,4 per cento in Italia”.

Lo shock energetico, “ha anche causato un repentino peggioramento del saldo commerciale dell’Italia, come pure di Paesi ad elevato surplus quali la Germania. Nei primi sette mesi del 2022 la bilancia commerciale dell’Italia ha registrato un disavanzo di 13,7 miliardi, che si confronta con un surplus di 37,5 miliardi nello stesso periodo dell’anno scorso, con il saldo energetico in peggioramento a -60,0 miliardi da -19,4 miliardi nei primi sette mesi del 2021 - prosegue il documento del governo -. Anche il saldo commerciale non-energy, pur rimanendo largamente in avanzo da gennaio a luglio (a 46,3 miliardi), ha subìto un deterioramento di circa dieci miliardi rispetto allo stesso periodo del 2021, dovuto sia al peggioramento delle ragioni di scambio sia ad una maggior crescita dei volumi di importazione rispetto a quelli di esportazione”.

Un marcato miglioramento della finanza pubblica “è segnalato dai dati più recenti di fabbisogno di cassa, che nei primi nove mesi dell’anno è stato pari a 49,2 miliardi, in miglioramento di circa 36,7 miliardi rispetto agli 85,9 miliardi del corrispondente periodo dell’anno scorso. Anche escludendo dal confronto le sovvenzioni ricevute ad agosto 2021 e ad aprile 2022 dalla Recovery and Resilience Facility, la riduzione del fabbisogno di cassa nei primi nove mesi dell’anno risulta pari a quasi 37,7 miliardi (un calo di circa il 43 per cento). Si tratta di un risultato molto positivo anche alla luce degli impegni di risorse pubbliche per manovre di calmierazione dei prezzi dell’energia e di aiuti ad imprese e famiglie attuati durante il periodo in questione”.

Il pacchetto di misure adottate per mitigare l’impatto dell’inflazione sulle famiglie e sulle imprese “è quantificabile in circa 62,6 miliardi negli anni 2021 e 2022 (3,3 % del PIL), di cui 5,5 miliardi (0,3 % del PIL) per il 2021 e 57,1 miliardi (3,0 % del PIL) per il 2022, inclusivi dei 3,8 miliardi stanziati con la legge di bilancio per il 2022”, scrive il governo nel Dpb specificando che tale stima considera “le misure temporanee mirate al contenimento dei costi energetici per famiglie e imprese, ma anche quelle volte alla salvaguardia del potere di acquisto dei redditi più bassi per fronteggiare l’aumento dei costi energetici e il generale aumento dell’inflazione”.

Tornando all’energia, il governo ha ricordato che “il contenimento dei costi delle bollette è stato attuato tramite l’azzeramento delle aliquote degli oneri generali di sistema sulle bollette elettriche e del gas, e la riduzione al 5 per cento dell’aliquota IVA sulle bollette del gas. Sono stati, inoltre, rafforzati i bonus sociali per le utenze elettriche e del gas destinati alle famiglie economicamente fragili, o con componenti in disagio fisico, già in vigore dal 2008. Se ne è disposta la rimodulazione per minimizzare gli impatti degli aumenti in bolletta; inoltre, la soglia ISEE per l’accesso ai bonus è stata incrementata da 8.265 a 12.000 euro (20.000 euro per le famiglie numerose), per tutto il 2022. I crediti di imposta previsti per le imprese sono mirati a compensare gli extra costi sostenuti dalle imprese per l’acquisto di energia o gas naturale. Ne hanno diritto le imprese i cui costi in media trimestrale siano aumentati almeno del 30 per cento rispetto allo stesso trimestre del 2019. Inizialmente introdotti in favore delle imprese a forte consumo di energia (cd. energivore) o gas naturale (cd. gassivore) e nella misura del 20 per cento delle spese sostenute nel trimestre di riferimento, nel corso dell’anno tali crediti sono stati estesi a una più ampia platea di imprese e aumentati fino al 40 per cento delle spese sostenute. Altri crediti di imposta sono previsti a favore di settori specifici, come trasporti, agricoltura e pesca, relativi alle spese per le componenti energetiche o per i carburanti. Parte delle misure ha riguardato la riduzione delle accise sui carburanti. Le riduzioni delle aliquote delle accise includono anche quelle disposte con i decreti interministeriali MEF-MITE, a compensazione delle maggiori entrate IVA derivanti dall’aumento del prezzo internazionale del petrolio greggio. Infine, tra le misure volte a contrastare il generale aumento dei prezzi, quella più rilevante è senz’altro l’erogazione delle indennità una tantum a diverse categorie di lavoratori, pensionati e beneficiari di altre prestazioni sociali: la prima, da 200 euro, erogata a luglio a coloro con redditi fino a 35.000 euro annui; la seconda, da 150 euro, sarà erogata a novembre a coloro con redditi fino a 20.000 euro annui. Altri interventi riguardano il bonus trasporti, l’aumento dell’esonero contributivo per i lavoratori dipendenti originariamente introdotto dalla legge di bilancio per il 2022, e l’incremento di due punti percentuali dei trattamenti pensionistici fino a 2.692 euro da ottobre a dicembre 2022”.

Tornando invece ai prezzi energetici, “il profilo tracciato dai contratti futures sul gas naturale TTF risulta nettamente più elevato dei livelli utilizzati per le proiezioni del DEF. Anche i prezzi attesi del petrolio Brent sono più elevati, sia pure in misura nettamente inferiore all’incremento registrato dai prezzi del gas”. Questa variabile esogena, assieme ad altre fa dire al governo che “solo il tasso di cambio dell’euro risulta più competitivo rispetto ai livelli utilizzati per le previsioni del DEF e dà luogo ad un impatto più favorevole sulla crescita del prodotto” - giustificano “una revisione al ribasso della previsione di crescita reale del PIL nel 2023 pari a 1,9 punti percentuali. D’altro canto – aggiunge il il Dpb -, il più recente aggiornamento delle proiezioni di spesa pubblica attivata dal PNRR con le risorse del Recovery and Resilience Facility (RRF) riduce significativamente la stima relativa al 2022, ma incrementa corrispondentemente le proiezioni di spesa negli anni finali del Piano. Sebbene la proiezione di spesa per il 2023 venga anch’essa lievemente rivista al ribasso (mentre salgono quelle per il 2025-2026), la variazione attesa per il 2023 delle spese legate al PNRR registra la maggiore revisione al rialzo rispetto ai dati utilizzati nel DEF (pari a 12 miliardi). Ciò dà luogo ad un impulso aggiuntivo alla crescita del PIL stimato pari a 0,3 punti percentuali in confronto alle stime del DEF”.

Nel complesso, “la previsione di crescita tendenziale per il 2023 dovrebbe scendere di 1,6 punti percentuali. Un’ulteriore riduzione di 0,2 punti percentuali, che porta la nuova proiezione tendenziale allo 0,6 per cento dal 2,4 per cento previsto nel DEF, è ascrivibile a due ordini di considerazioni: la prima è che sia opportuno tener conto di possibili effetti negativi sulla fiducia di famiglie e imprese del complesso quadro geopolitico che si prospetta per i prossimi mesi; la seconda è che il quadro presentato è a legislazione vigente e deve tener conto del fatto che le misure di calmierazione delle bollette saranno in vigore solo fino al termine del 2022. Una loro interruzione fa salire il costo dell’energia per imprese e famiglie a inizio 2023 e ciò ha un impatto negativo sul PIL sebbene le simulazioni effettuate col modello trimestrale ITEM indichino che la crescita del PIL nel 2023 beneficerà degli effetti ritardati dei decreti-legge adottati nella seconda metà di quest’anno”.

Secondo i dati del Ministero dello Sviluppo Economico (MISE)”, i consumi nazionali “sono diminuiti dell’1,9 per cento nei primi sette mesi del 2022, si è elaborata una proiezione coerente con tali prezzi, con la composizione macro-settoriale della crescita del PIL e con le tendenze previste per la composizione della produzione nazionale di energia elettrica. Si prevede che una discesa dei consumi di gas naturale più accentuata nel periodo agosto-dicembre porti la contrazione annuale del consumo nazionale al -3,2 per cento”.

Nel 2023, invece “una parziale ricomposizione della produzione di elettricità verso altri combustibili fossili e biocombustibili e un incremento dell’idroelettrico e delle altre rinnovabili, unitamente a una diminuzione dei consumi per utenze domestiche, farebbe scendere il consumo nazionale di gas di un ulteriore 4,4 per cento, a cui seguirebbe un ulteriore lieve calo dello 0,3 per cento nel 2024. Ciò porterebbe i consumi lordi nel 2024 ad un livello inferiore di quasi l’8 per cento a quello del 2021, che è stato pari a 76,1 miliardi di metri cubi standard (SMC). Nel 2025, col consolidamento della ripresa economica, il consumo nazionale lordo aumenterebbe dell’uno per cento sull’anno precedente, registrando un livello di poco inferiore a 71 miliardi di SMC”.

Per quanto riguarda gli approvvigionamenti, “lo scenario tendenziale sconta un’ulteriore discesa delle importazioni di gas russo, non un loro completo azzeramento. Si è peraltro elaborato uno scenario alternativo di completa interruzione degli afflussi dalla Russia a partire dal mese di ottobre, di cui si dirà più avanti – si legge ancora nel Dpb -. Nello scenario di base, l’afflusso dal punto di ingresso del Tarvisio, attraverso cui passa gran parte dell’import dalla Russia, scenderebbe da 29,1 miliardi di SMC del 2021 a 12,9 miliardi di SMC quest’anno e poi via via fino a soli 3,8 miliardi nel 2025. La sostituzione del gas di provenienza russa, oltreché attraverso minori consumi, avverrebbe tramite maggiori afflussi dai due principali gasdotti meridionali (Algeria e TAP), un forte incremento delle importazioni di gas liquefatto (grazie al graduale ma significativo aumento della capacità di rigassificazione) e un moderato aumento della produzione nazionale. L’aumento della capacità di rigassificazione avverrà sia attraverso una maggiore produzione dei tre principali impianti esistenti, sia tramite l’acquisizione di due unità galleggianti: per la prima si è ipotizzato l’avvio della produzione nella primavera del 2023, per la seconda a inizio autunno 2024”.

Al 2 ottobre gli stoccaggi di gas naturale italiani, registra il Dpb “avevano una percentuale di riempimento del 91,2 per cento. Lo scenario previsivo 2022-2025 è stato costruito a livello mensile per tutte le variabili del bilancio nazionale del gas (produzione, importazioni, esportazioni e consumi) specificando i volumi per ciascuna fonte di approvvigionamento della rete nazionale e verificando che il totale degli stoccaggi non scenda sotto al livello della riserva strategica nazionale (4,5 miliardi di SMC) in alcun mese dell’anno (il livello più basso viene normalmente raggiunto alla fine dell’inverno). I volumi di importazione ipotizzati per ciascun punto di entrata o di rigassificazione sono inferiori alla capacità massima teorica. D’altro canto, la proiezione assume che non si verifichino rilevanti problemi tecnici in alcuno degli impianti di rigassificazione e che si riesca a mantenere un afflusso relativamente elevato, seppur decrescente nel corso del tempo, dal punto di ingresso di Passo Gries, attraverso il quale giunge in Italia il gas di provenienza nord-europea”.

Naturalmente ci sono dei rischi per la previsione economica: se si verificassero contemporaneamente gli shock di una minor crescita globale e di un allargamento dello spread “il PIL crescerebbe meno di quanto indicato dalla previsione tendenziale di 0,3 punti percentuali nel 2023 (dimezzando quindi la crescita prevista per l’anno), 0,6 p.p. nel 2024 (col risultato di abbassare il tasso di crescita di quell’anno all’1,2 per cento) e 0,2 p.p. nel 2025 (riducendo la crescita all’1,3 per cento). Andamenti ancor più sfavorevoli si verificherebbero se si assistesse anche ad un marcato rafforzamento del tasso di cambio dell’euro, scenario che potrebbe verificarsi se, al contrario di quanto sinora avvenuto, l’economia americana e altre economie al di fuori dell’area euro registrassero una caduta dell’inflazione - e, presumibilmente, dell’occupazione – più accentuata di quella dell’area stessa”. In aggiunta a queste simulazioni standard, “si è ripreso il tema degli approvvigionamenti di gas naturale già affrontato nel DEF. Rispetto alla fine di marzo, quando furono elaborati due scenari di rischio incentrati su uno shock di prezzo con o senza una carenza di gas, gli sviluppi degli ultimi mesi sono stati più simili allo scenario di shock di prezzo allora elaborato: gli afflussi di gas russo sono continuati ma sono stati accompagnati da forti rialzi dei prezzi a fronte di una campagna di stoccaggio da parte di tutti i Paesi europei. Allo stato attuale, data una percentuale di riempimento degli stoccaggi prossima all’obiettivo del 90 per cento e la continuazione in settembre delle importazioni dalla Russia, sia pure con volumi molto inferiori al passato, lo scenario di rischio che appare più rilevante è quello di un completo arresto delle forniture dal mese di ottobre in poi. Al pari dello scenario tendenziale, si è ipotizzato che il livello mensile di stoccaggio non possa scendere mai al disotto della riserva strategica dell’Italia. Il gap creato dall’azzeramento dell’import dalla Russia viene in parte colmato da altre fonti di approvvigionamento e in parte dalla contrazione dei consumi. Poiché nello scenario tendenziale il volume di import attraverso il Tarvisio scende da 14,3 miliardi di SMC stimati per il 2022 a 6,4 miliardi nel 2023 e poi gradualmente fino a 3,8 miliardi nel 2025, per compensare il venir meno di tali afflussi si sono ipotizzati un moderato aumento del ricorso ad altre fonti di importazione unito ad una riduzione dei consumi pari a 4 miliardi da ottobre 2022 a fine 2023 in confronto allo scenario tendenziale. Trattandosi di una riduzione dei consumi significativa ma non macroscopica (circa il 5,4 per cento del consumo annuale stimato per il 2022), si è optato di simularla come shock di prezzo unito ad un elevato grado di osservanza da parte di cittadini e imprese del Piano di contenimento dei consumi recentemente presentato dal Ministero della Transizione Ecologica (MITE)9. Ciò significa che l’ulteriore contrazione della domanda e le importazioni aggiuntive di gas vengono attivate principalmente da un livello dei prezzi superiore a quello dello scenario tendenziale”.

"Nella simulazione effettuata con il modello MACGEM, si è ipotizzato che il completo venir meno degli afflussi dalla Russia porti ad un aumento del 20 per cento dei prezzi medi del gas naturale, dell’elettricità e del petrolio rispetto allo scenario tendenziale nel quarto trimestre di quest’anno e nel 2023. Nel 2024 e nel 2025 i prezzi sarebbero più elevati del 10 per cento e del 5 per cento, rispettivamente. I risultati della simulazione indicano una contrazione cumulata del consumo di gas del 4,9 per cento nel 2022 e nel 2023 (e del 7,7 per cento nell’intero periodo 2022-2025), solo lievemente inferiore a quanto ritenuto necessario ma che potrebbe essere integrata da cambiamenti comportamentali in risposta al Piano di contenimento del MITE", si legge nel Dpb.

Per quanto riguarda infine gli impatti macroeconomici, “lo scenario di rischio qui descritto restituisce una minor crescita del PIL in confronto al tendenziale pari a 0,2 punti percentuali nel 2022 e 0,5 p.p. nel 2023, mentre risulterebbe superiore di 0,4 p.p. nel 2024 e 0,2 p.p. nel 2025 per un effetto di rimbalzo. Il tasso di crescita del PIL nominale si ridurrebbe più moderatamente per via di una dinamica più sostenuta del deflatore, scendendo di 0,1 p.p. quest’anno rispetto al tendenziale, 0,3 p.p. nel 2023 ed aumentando di 0,2 p.p. e 0,1 p.p. rispettivamente nel 2024 e 2025. Si tratta di impatti molto inferiori a quelli stimati negli scenari di rischio del DEF. Ciò riflette sia i progressi conseguiti, o attesi per il prossimo triennio, in termini di approvvigionamenti alternativi, sia gli afflussi di gas naturale dalla Russia nei primi nove mesi di quest’anno”, conclude il Dpb.

 

QUI IL DOCUMENTO PROGRAMMATICO DI BILANCIO